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21.5.15

The Lazarus Effect


The Lazarus Effect (USA, 2015)
di David Gelb
con Olivia Wilde, Mark Duplass, Evan Peters

Come accade che il regista di Jiro e l'arte del sushi, la cui carriera sembra in linea di massima stare sviluppandosi all'insegna dei documentari, finisca a dirigere The Lazarus Effect? Vai a sapere. Magari è un appassionato di cinema horror. Magari è amico del cuore di Mark Duplass. Magari voleva conoscere Olivia Wilde. Chissà. Però è accaduto e ne è venuto fuori un film horror girato in maniera discreta e capace di tirar fuori qualche bella soluzione visiva, probabilmente anche grazie alla collaborazione fra Dabid Gelb e Michael Fimognari, già direttore della fotografia sul ben superiore Oculus. Ma, onestamente, non c'è molto altro, in un film forse eccessivamente bastonato dalla critica d'oltreoceano, ma che certo si limita al compitino diligente, fa tutto come da copione e non rischia neanche per sbaglio di scherzare con i limiti del rating PG-13.

Insomma, The Lazarus Effect è un horror medio, guardabile, a tratti perfino divertente, che ha soprattutto il gran merito di durare appena ottantatré minuti, affidandosi con forza al dono della sintesi. Può sembrare poco, ma di questi tempi è merce rara. La storia parte da una base che può ricordare l'oggetto bizzaro che fu Linea mortale di Joel Schumacher e racconta di alcuni ricercatori impegnati a lavorare su una cura miracolosa per quella brutta malattia chiamata morte. Proprio quando sembrano aver svoltato riportando in vita un cane, tutto va a rotoli: il cane resuscitato mostra segni di squilibrio, vengono tolti loro i fondi per la ricerca e, durante un tentativo impacciato di non perdere tutto, ci scappa il morto. Da lì in poi le cose vanno come da copione, con i ragazzi che decidono di provare la mossa della resurrezione e la resuscitata che esce dalla vacanza all'altro mondo con un carattere pesantemente virato verso il brutto.

A quel punto il film si trasforma in una classicissima storia di mostri, col babau infernale che fa fuori tutti uno alla volta, i "buoni" che provano a fare appello al buon cuore del boia e la veloce discesa verso un finale già scritto, in pieno stile horror anni Ottanta, di quelli in cui i tarallucci e il vino non sono di casa. Nulla di sconvolgente, ma anche nulla di tragico, per un film che, nel suo essere classico ben oltre i limiti del risaputo, risulta paradossalmente piuttosto fresco, in quest'era di found footage assortiti. Poi, certo, non c'è una sorpresa che sia una e l'angoscia sta da un'altra parte, ma in fondo ci si diverte abbastanza, c'è una bella messa in scena e gli attori tengono in piedi la baracca con interpretazioni solide e naturali dei tradizionali personaggi puniti col sangue per la loro moralità discutibile. Insomma, The Lazarus Effect è il classico horror dignitoso che non fa danni, non disturba, non sporca, si lascia serenamente guardare e ti dimentichi dieci minuti dopo essere uscito dal cinema.

Me l'ho sono visto al cinema a San Francisco, lo scorso marzo, al termine della trasferta per la GDC 2015. Fun fact: il rating PG-13 non è un divieto, è un'indicazione, e il risultato è che in sala c'era un'allegra famigliola con un bambino che avrà avuto al massimo sei o sette anni, che del film se ne fregava e voleva andarsene. Il che, fra l'altro, mi fa venire in mente quella volta che mia madre mi portò, tredicenne, a vedere Linea mortale, vietato ai minori di quattordici anni, e riuscì a farmi entrare piantando una scenata col cassiere. La differenza sta nel fatto che io non chiedevo altro. E nell'età. E nella consapevolezza, da parte di mia madre, che ero uno psicopatico.

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